22 Aprile, Earth Day: gli insetti come bioindicatori e sentinelle ecologiche
La Giornata della Terra è un’occasione per fare il punto sullo stato di salute del nostro Pianeta; un momento per sottolineare come il benessere della specie umana possa e debba andare di pari passo con la protezione dell’ambiente.
Zig Zag produce insetticidi ad uso domestico; proprio per questo motivo ci sentiamo particolarmente investiti del compito di promuovere un utilizzo responsabile di prodotti come i nostri, con l’obiettivo di incoraggiare le persone a impiegarli quando necessario, nel modo corretto e in sicurezza.
Riteniamo che faccia tutto parte di un protocollo volto al benessere degli esseri umani compatibilmente con la conservazione di specie che devono poter conservare il loro posto nel mondo.
Riconosciamo che si tratta di un equilibrio complesso; ma siamo convinti che lo si possa raggiungere stimolando la curiosità delle persone, facendo opera di divulgazione e migliorando la consapevolezza di tutte le parti in campo.
Earth Day: un'occasione per comprendere l'importanza degli insetti
L’Earth Day o Giornata della Terra ricorre il 22 aprile di ogni anno fin dal 1970, quando fu sancita dalle Nazioni Unite in seguito alle prime grandi mobilitazioni di massa a favore dell’ambiente.
Era l’epoca in cui i movimenti ecologisti compivano i loro primi passi; ma il ruolo degli insetti come bioindicatori, ovvero come misura della salute di un ecosistema, faceva parte della cultura ambientalista fin da allora; anzi, a dire il vero, da diverso tempo prima.
In ambito scientifico, il concetto di bioindicatore risale all’inizio del secolo scorso, in particolare al sistema di valutazione delle acque dolci messo a punto dagli studiosi tedeschi Kolkwitz e Marsson, che si basa sulla presenza di insetti acquatici come Efemerotteri, Plecotteri, Anfipodi, Isopodi e Chironomidi.
Ma perché il concetto entrasse nel dibattito pubblico e incrociasse i destini del movimento ambientalista fu necessario attendere ancora qualche tempo e l’apporto di una delle più importanti divulgatrici scientifiche di sempre.
Spostiamoci quindi di qualche decennio ancora per guardare agli Stati Uniti della fine degli anni ’50; per l’esattezza, a una casa di campagna dello stato del Maryland. È qui che da alcuni anni vive e lavora la biologa Rachel Carson.
Primavera Silenziosa e l'importanza degli insetti nel monitoraggio ambientale
Con crescente preoccupazione, Carson assiste in prima persona al dilagare di pesticidi come il DDT, all’epoca diffusamente utilizzati in agricoltura e per contrastare qualsiasi infestazione di insetti, dalle blatte alle zanzare.
Quello che Carson osserva è che l’utilizzo indiscriminato di questi prodotti, mirati a combattere gli insetti, di fatto si ripercuote sull’intero ecosistema, coinvolgendo tutti gli esseri viventi.
Le prime vittime collaterali sono gli uccelli che di quegli insetti si nutrivano, e la cui improvvisa scomparsa dà il titolo all’opera più nota di Rachel Carson: Primavera Silenziosa. Il libro avrà un ruolo fondamentale nel sensibilizzare il grande pubblico e darà impulso all’affermarsi del movimento ambientalista.
Oggi la battaglia per la salvezza degli ecosistemi è più che mai aperta; ma dal tempo di Primavera Silenziosa sono stati fatti enormi passi avanti in termini di consapevolezza e di presa di responsabilità relativamente all’impatto delle attività umane sul pianeta.
Per comprendere l’entità di questo impatto, la raccolta di dati è fondamentale; e oltre a utilizzare parametri come la variazione delle temperature o la valutazione della qualità dell’aria, c’è molto che possiamo scoprire studiando determinati organismi, detti bioindicatori, fra i quali hanno un ruolo di primo piano proprio alcune specie di insetti.
Bioindicatori: "termometro" delle alterazioni ambientali
Ma che cos’è esattamente un organismo bioindicatore?
Se volessimo fare un’analogia molto semplice, potremmo pensare ai bioindicatori come al canarino che i minatori portavano con sé in miniera: fa da segnale di avviso perché reagisce alle variazioni nell’ambiente molto prima di tutti gli altri.
Un bioindicatore è dunque una specie che manifesta particolare sensibilità ai cambiamenti dell’ecosistema in cui vive, che si tratti di variazioni nella temperatura, della comparsa di sostanze inquinanti o altro, e che reagisce rapidamente a questi cambiamenti.
Ciascun organismo infatti ha bisogno di determinate condizioni ambientali per poter vivere e riprodursi; l’insieme di queste condizioni viene chiamata optimum biologico. Per alcune specie queste condizioni sono così rigide e specifiche che la minima variazione è in grado di produrre un effetto osservabile.
Questi effetti possono trovarsi a diversi livelli di organizzazione biologica, dai danni al patrimonio genetico a modificazioni morfologiche, fino a variazioni nel comportamento della comunità della specie.
Un ulteriore aspetto che contraddistingue un buon indicatore biologico è la velocità con cui si susseguono le generazioni: una specie che si riproduce con rapidità mostra più velocemente eventuali modifiche sul piano genetico o morfologico.
Fra le altre caratteristiche richieste, l’organismo bioindicatore deve essere facile da reperire e osservare; deve essere ampiamente diffuso nell’ecosistema da studiare e ben conosciuto a livello scientifico, in modo che qualsiasi cambiamento possa essere notato tempestivamente, misurato e quantificato.
Molti insetti soddisfano queste condizioni, il che li rende particolarmente adatti a ricoprire il ruolo di indicatore biologico.
Ecco perché le specie bioindicatrici fra gli insetti sono numerose e molto differenti, da varietà di ditteri a formiche e farfalle, da libellule e api a numerose specie di coleotteri, fra i quali alcuni che hanno assunto una valenza simbolica speciale.
Oggi, al centro dell’attenzione ci sono soprattutto le api da miele; ma prima di loro, almeno in Italia, ci sono state le lucciole.
Di lucciole, lucciolate e della salvaguardia del territorio
Fin dai primi anni del boom economico, infatti, una delle conseguenze più vistose dell’inquinamento in Italia è stata la scomparsa delle lucciole.
Un fenomeno tanto notevole e diffuso che Pier Paolo Pasolini se ne servì come immagine di un cambiamento altrettanto profondo nello scenario sociale italiano, in un articolo del ’75 diventato noto come “l’articolo delle lucciole”:
“Nei primi anni sessanta, a causa dell’inquinamento dell’aria, e, soprattutto, in campagna, a causa dell’inquinamento dell’acqua (gli azzurri fiumi e le rogge trasparenti) sono cominciate a scomparire le lucciole. Il fenomeno è stato fulmineo e folgorante. Dopo pochi anni le lucciole non c’erano più. (Sono ora un ricordo, abbastanza straziante, del passato: e un uomo anziano che abbia un tale ricordo, non può riconoscere nei nuovi giovani se stesso giovane, e dunque non può più avere i bei rimpianti di una volta).”
Vale la pena far presente che, per fortuna, le quasi venti specie di lucciole italiane non sono estinte; sono però diventate abbastanza rare che durante la stagione estiva in alcune località si organizzano “lucciolate” per andare ad ammirarle, quasi fossero uno spettacolo esotico.
Le lucciole si sono infatti rifugiate in parchi naturali e aree protette, dove possono sfuggire all’inquinamento atmosferico e luminoso, dove non sono minacciate dall’agricoltura intensiva e dove possono trovare i prati, i boschi e le zone umide dove riprodursi.
La prossima volta che ci troviamo in un’area verde, che sia un grande parco o un piccolo giardino, facciamo caso a quali specie lo dividono con noi: la presenza di un’ape o una libellula, di una farfalla o di una lucciola non sono solo simboliche; sono l’espressione della vita naturale che è tutto intorno a noi.